Con l'eco delle bombe e dei razzi che esplodono per le vie di Tel Aviv o di Ramallah, e sullo sfondo di uno scenario di guerra paventata come la "più pericolosa" rispetto a tutti i precedenti conflitti arabo-israeliani, questo saggio appare come una lettura obbligata per quanti cercano anche solo di capire l'intricata matassa che avvolge e coinvolge lo Stato d'Israele e il popolo palestinese.
Il testo nasce dall'esigenza diffusa nel mondo accademico di approfondire la conoscenza delle radici politiche e culturali che hanno portato all'insorgere del "sionismo", e dunque alla nascita dello Stato d'Israele. Ciò attraverso una collazione di venticinque saggi che analizzano l'identità e la storia, per lo più recente, degli ebrei e della nazione israeliana.
E' necessario premettere che il volume raccoglie contributi di docenti universitari per lo più di religione ebraica e risulta pertanto specificamente orientato in tal senso. D'altra parte, come chiarito nell'introduzione, "l'abbinamento Israele-Palestina portava a una visione dei problemi superficiale, focalizzata sull'attualità, o su sviluppi recenti, lasciando in ombra vicende più lontane e sedimentate, indispensabili per comprendere due identità contrapposte, uscite da storie diverse, incomparabili e forse incompatibili. (...). Molto meglio lavorare su due percorsi ben distinti, uno sul mondo arabo - del quale i palestinesi sono una componente numericamente quasi irrilevante, ma politicamente capace di innescare risposte molto coinvolgenti - e una sull'identità ebraica, che ha costituito la base sulla quale è nato Israele".
Per poter scandagliare, in maniera concisa ma essenziale, le diverse tematiche inerenti la cultura e l'identità ebraica, la curatrice Enrica Collotti Pischel unitamente a David Bidussa e a Raffaella Scardi hanno coinvolto numerosi docenti universitari o esperti del settore. Questi, muovendo dalla dimensione prettamente biblico-talmudica, attraverso le diverse vicende storiche che hanno visto coinvolte le comunità ebraiche, giungono fino all'analisi della situazione politica israeliana aggiornata a maggio '99, aiutando il lettore ad affrontare con dimestichezza la lettura non solo degli eventi israelo-palestinesi ma, soprattutto, dell'universo-mondo ebraico.
Il risultato, per quanto orientato a una visione di parte, si rivela dunque decisamente interessante.
I primi tre saggi, scritti rispettivamente dal rabbino capo di Milano, Roberto Colombo, dal Presidente delle comunità israelitiche in Italia, Amos Luzzatto e dal professore di Scienze Politiche della Statale di Milano, Carlo Andrea Mortara, introducono allo "spirito" religioso ebraico attraverso differenti aspetti, tutti complementari. L'indicazione, forse originaria, di questo "spirito" è una forte libertà interiore di fronte alla Legge, per cui dalla Torah ("La Legge" ebraica che corrisponde ai primi cinque libri della Bibbia, dai cristiani per l'appunto chiamato Pentateuco) è possibile ricavare una pluralità di indicazioni ma anche di interpretazioni legate al rapporto unico che ciascun ebreo ha con il Libro e per questo, in teoria, tutte legittime. Tuttavia, questa libertà è all'interno di precisi parametri che potremmo definire metodologici e che attengono al cuore della dottrina religiosa ebraica laddove la coerenza con la Torah rimane il parametro centrale ed essenziale.
A conferma di questa impostazione, è illuminante proprio il terzo saggio di Mortara nella parte in cui mostra, da un punto di vista prettamente economico, come lo stretto legame tra etica ed economia, pur essendo centrale nel pensiero ebraico, possa aver dato vita, di fatto, a due filoni. L'uno di tipo individualistico, che accentua il concetto di responsabilità e libertà individuale e di realizzazione personale e l'altro che invece sottolinea il valore della solidarietà, della responsabilità verso gli altri, dell'attenzione nei confronti di chi ha bisogno, del bene comune. L'idea della santificazione della vita quotidiana, attraverso atti giusti verso se stessi e verso gli altri, è ciò che accomuna peraltro le due visioni che, per quanto differenti, hanno medesima legittima cittadinanza.
Anche il saggio di Stefano Levi della Torre aiuta a capire, all'interno di una rilettura tra storia e memoria della Shoà, l'humus biblico che accompagna sovente le interpretazioni storiche degli eventi. La storia diventa memoria quando è possibile non fermarsi su di essa, cristallizzandola. Quando gli eventi presenti possono essere riletti alla luce di quelli passati e, soprattutto, con la consapevolezza che è possibile una "svolta", cioè superare gli eventi, per quanto tragici, del momento presente, facendo memoria, cioè "ricordando" i prodigi che Dio fece quando intervenne nella storia d'Israele. Storia come ricordo che attualizza il presente, rendendolo sempre capace di "svolte" insperate. E' questo, d'altra parte, il cuore del metodo cosiddetto midrashico.
La maggior parte dei saggi centrali viaggiano all'interno della narrazione storica circa l'evolversi della vita delle comunità ebraiche, in Italia e in Europa. Essi mostrano anche come si siano formate, attraverso le diverse vicissitudini storiche, le due anime dell'ebraismo, quella sefardita e quella aschenazita (c'è da dire che le anime che pulsano oggi in Israele sono ancor più diversificate per cui tale differenziazione risulta, forse, non più sufficiente). Tali saggi permettono, insomma, di vedere dietro quali spinte e in quale contesto sia nato il fenomeno del "sionismo", quali sviluppi abbia avuto e come abbia costituito fattore fondamentale per la nascita dello Stato d'Israele, con i suoi riflessi nella società israeliana odierna.
Questo filo conduttore consente di giungere meno impreparati alla lettura degli ultimi quattro saggi, che affrontano in maniera più specifica la situazione attuale.
Con la frammentazione ed il venir meno di quella unità ideologica del Paese data dallo strapotere dell'ideologia sionista - di origine prevalentemente laica e socialista - tipica dei primi trent'anni dello Stato d'Israele, nel panorama politico israeliano si afferma sempre più la componente di destra.
Questa, d'altra parte, è l'epifenomeno di un cambiamento del tessuto sociale che vede come prioritaria non più la volontà di affermazione dello Stato d'Israele (come possibilità di esistenza) di fronte a tutto il mondo, quello arabo compreso, ma dell'identità ebraica. Come riferisce Daniel Ben Shimon, giornalista di Haaretz e commentatore politico israeliano "l'idea del ‘nuovo ebreo' è morta, oggi il ‘nuovo israeliano' non è sionista, la lingua ebraica, la cui rinascita aveva rappresentato uno dei maggiori successi del sionismo, ha perso la sua rilevanza. Il ‘nuovo israeliano' è più ebreo e vuole una Israele non nuova ma legata al passato, una Israele con un carattere ebraico, l'opposto dell'idea dei fondatori, che sognavano di tagliare questi legami col passato".
Da ciò deriverebbe l'affermazione dei partiti confessionali o ultraortodossi e il rischio reale che vi sia, attualmente, una lotta d'identità in cui Israele vede nel processo di pace l'elemento meno preoccupante rispetto alla necessità di tenere unita la società secondo parametri di "ebraicità".
Tuttavia, non va trascurato che proprio il contenuto di questi ultimi saggi, che presentano differenze non di poco peso su alcune analisi di fondo (per Eli Bernavi la società israeliana è massicciamente favorevole alla pace e disposta a pagarne il prezzo, a differenza di quanto affermato da Ben Shimon), andrebbe misurato con gli eventi più recenti. Chiuso il testo alla fine del ‘99, gli Autori non hanno potuto vedere la vittoria di Sharon alle elezioni e la situazione esplosiva che oggi investe Israele.
Alcuni passaggi, proprio inerenti al problema della città di Gerusalemme, o i risvolti legati ai più recenti accordi israelo-palestinesi, aiutano comunque a focalizzare meglio le tematiche oggi sul tappeto, anche se, forse, non aiutano certo a scorgere come realizzabili, in tempi ragionevoli, duraturi processi di pace.
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